Iperattività. C’è veramente da preoccuparsi?
Quando si può parlare di bambini iperattivi? Ma cosa vuol dire, innanzitutto, iperattivi? Si tratta veramente di un problema serio?
In psicopatologia infantile si definisce “iperattivo”, quel bambino che presenta un disturbo neurobiologico a carico della corteccia pre-frontale e dei nuclei della base, una serie di strutture sottocorticali coinvolte nel controllo del movimento. Prima, però, di scomodare la medicina, bisogna pensare al fattore psicologico del tutto normale nei bimbi. Non è una cosa così rara notare bambini sempre agitati, con scarsa concentrazione e che si annoiano molto facilmente. Il bimbo, infatti, ha una sua personalità che, via via, va formandosi negli anni. Se un bambino non riuscisse a concentrarsi a dovere su un compito di scuola, non è detto che sia affetto da un disturbo di tipo neuropsichiatrico. Può, per esempio, dare importanza ad altri stimoli ambientali per lui più interessanti al momento, oppure sentirsi in uno stato emotivo che non gli consente, per i più svariati motivi, di mantenere l’attenzione su un determinato esercizio. Dopo i 7-8 anni si può, al limite, iniziare a parlare di disturbo neuropsichiatrico, questo perché coincide con l’inserimento scolastico che, col tempo, diventa sempre più marcato. Lì possono magari sorgere deficit nell’apprendimento e problemi comportamentali. Solo uno specialista, però, può avanzare, semmai, la diagnosi di ADHD, sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Da qui, però, a passare all’assunzione di psicofarmaci ce ne vuole! Nella stragrande maggioranza dei casi tutto si può risolvere, magari con l’aiuto di uno psicologo.